Altri sette giorni in piacevole apnea. Per salvare la classifica (e la faccia) in Europa e consolidare un primato in campionato che apre prospettive solo accarezzate nei sogni fino a qualche mese fa. La Fiorentina di Paulo Sousa non può proprio fermarsi. Non ora, almeno, visto che è chiamata agli ultimi due sforzi decisivi (Poznan e Genova) prima della terza sosta di questa stagione. Da una parte c’è il prestigio internazionale, un «must» come viene definito nelle stanze viola, e quel ranking Uefa da scalare (ora i viola si trovano alla posizione numero 33, niente male) per raggiungere magari il terzo posto tra le italiane scalzando Milan e Inter. Dall’altra però c’è un’occasione ghiottissima, quel posto in Champions rincorso senza fortuna per anni.
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Fiorentina, quanto conta l’Europa?
L'articolo di Ernesto Poesio sul Corriere Fiorentino
Ambizioni sportive ed economiche dunque, che nel calcio costruito da questa Uefa dove l’Europa League viene di fatto considerata una coppa di serie B non sempre coincidono. Questione di priorità dunque, di scelte che la Fiorentina magari sarà chiamata a fare più avanti (febbraio?) come avvenuto lo scorso anno quando a un certo punto l’impegno europeo e il sogno di alzare una coppa divenne predominante.
Stavolta però potrebbe essere il contrario, nonostante lo stesso Sousa sia quasi per Dna un «animale da Europa», un tecnico che necessita del confronto internazionale per crescere e confrontarsi. Il problema semmai può nascere dalla rosa viola, forse non attrezzata per lottare fino in fondo su tre fronti. Per questo, secondo il vecchio adagio «chi troppo vuole nulla stringe», non sarebbe poi un’eresia che in casa viola si iniziasse a fare due conti. Champions dunque, aldilà delle dichiarazioni di facciata e del politically correct sportivo che poco si addice a un’analisi obiettiva non può che essere questo l’obiettivo primario. Per capire di cosa stiamo parlando basta guardare qualche dato.
Nel 2013-14 la Fiorentina ha giocato 12 partite in Europa League (7 vittorie, 3 pareggi e 2 sconfitte) e raggiunto gli ottavi prima di essere eliminata dalla Juventus. Il totale degli incassi è stato di 8.234.902 (fonte Uefa) tra «Bonus Partecipazione», «Bonus Performance», «Fase a Eliminazione» e il famigerato «Market Pool» (cioé la complessa suddivisione che fa riferimento ai diritti tv). Non granché poi il totale spettatori con 109.724 presenze per 3 milioni di incassi (cioè, tanto per avere un raffronto, meno di Inter-Juventus del 18 ottobre quando a San Siro si è toccato quota 3.700.000). Il totale insomma fa poco più di undici milioni, giusto quanto bastò per pagare gli stipendi di Gomez e Rossi. E nel 2014-15, l’anno della storica semifinale? Le partite sono state di più (14) ma anche in questo caso la Fiorentina ha raggiunto a malapena i 14 milioni (10,5 dalla Uefa e 3,5 dallo stadio), sempre troppo poco per spostare gli equilibri.
E la Champions li cambierebbe davvero? Due dati su tutti: la Juventus finalista lo scorso anno ha raccolto 98,6 milioni di euro, cioé nove volte in più della Fiorentina che pure è stata semifinalista dell’Europa League, mentre la Roma che è arrivata ultima nel proprio girone (con figuracce storiche annesse) ha ottenuto quasi quattro volte in più dei viola portandosi a casa 49,2 milioni, proprio ciò che è servito per fare mercato la scorsa estate e che in casa viola coprirebbe il monte ingaggi di un anno.
Il confronto proprio non regge. E per questo sarebbe un delitto sportivo dilapidare energie su più fronti. A partire dalla Polonia dove Sousa dovrà trovare il giusto compromesso tra ambizione e realismo. Tra coppa e campionato dove è in arrivo la difficile trasferta di Marassi. Superarla a pieni voti proietterebbe definitivamente i viola tra le candidate a un posto Champions. Meglio, forse, tenerlo ben presente.
Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino
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