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Etica, soldi e pazienza: così la Germania è andata al top

Dieci anni fa tre semifinaliste su quattro della Champions erano italiane: Milan, Inter, Juventus. La Bundesliga non ha superato l’Italia e l’Europa in una notte: ha avuto a disposizione idee, …

Redazione VN

Dieci anni fa tre semifinaliste su quattro della Champions erano italiane: Milan, Inter, Juventus. La Bundesliga non ha superato l'Italia e l'Europa in una notte: ha avuto a disposizione idee, soldi e pazienza, tre materie prime inesistenti nel nostro calcio. Può anche darsi che non ci sia la finale monocolore a Wembley, il 25 maggio. Non cambierebbe il giudizio sul torneo tedesco: ha la migliore struttura d'Europa, lo era già anche se una delle due big non fosse arrivata fino all'8-1 alla Spagna, vedi il gol irregolare al 92' pro Borussia con il Malaga.

I motivi

Al massimo la finale solo deutsch può togliere l'etichetta di bravi ma timorosi di fronte alle coppe, sensazioni evidenziate soprattutto dalla nazionale (e dal Bayern un anno fa). Gli elementi che formano il successo del torneo più visto dal vivo nel mondo (media 44.284) sono noti. Solidità economica; brillantezza fisica; acutezza tattica; entusiasmo dell'ambiente che significa: tifosi trattati come clienti (gli stracitati stadi nuovi e sempre pieni), calciatori famosi attratti da queste virtù. Nel 2007, quando la Germania era quinta nel ranking Uefa e l'Italia terza con 23 punti di vantaggio, Luca Toni e Franck Ribery scelsero la terra della birra perché pagati da nababbi (stipendi da 15 milioni in due) e sicuri di avere in cambio anche coppe e consensi. Fu il segnale che la concorrenza europea non capì: non più soltanto stranieri dall'Est o brasiliani che fuggivano alla prima nevicata. Due che avevano appena giocato la finale mondiale. E poi Louis van Gaal, Arjen Robben, Javi Martinez, Pep Guardiola. E chi non aveva i soldi del Bayern? Ha attinto dal vivaio (Götze, Grosskreutz, Schmelzer) oppure ha comprato a prezzi stracciati (Piszczek, Kagawa poi cambiato con Reus, nato nel club e poi emigrato): così il Borussia è diventata l'unica imbattuta in questa Champions, passando per una doppietta in Bundesliga.

Il rispetto

Eppure anche in Italia siamo sempre stati abili a far fiorire i settori giovanili e a impostare tatticamente un gruppo. Anzi abbiamo insegnato quest'ultima qualità a Jürgen Klinsmann e Oliver Bierhoff, autori della nuova coscienza tattica data alla nazionale nel 2004 e travasata poi in Bundesliga. Perché i nostri club non tengono più il passo? Questione di soldi, ha detto Antonio Conte, uno che sa di cosa parla perché prendeva lo stipendio dalla Juve anche quando vinse la Champions da giocatore. Ma il denaro si incassa anche dal merchandising (da noi il fuorilegge sembra legge); dalle spese dei tifosi allo stadio (cibo, bevande tutte del club) che dipendono dal costo basso dei biglietti e dal poter offrire le partite di pomeriggio (solo una notturna, al venerdì); dalla cessione dei giocatori curati fin da bambini grazie al Progetto 2000, i 366 centri di formazione che la federazione ha sovvenzionato con 500 milioni e ora ne costa 30 l'anno. Ma ai club che non rispettano i parametri (struttura, corsi per allenatori, medici, fisioterapisti, psicologi e insegnanti) vengono tolti i finanziamenti. Chi sgarra viene espulso dal sistema: la Bundesliga riesce a far rispettare le regole e le sentenze, atto impossibile da noi, tra presidenti che reclamano scudetti tolti, altri che danno sempre la colpa agli arbitri, ai complotti, al caos istituzionale. Alibi per mascherare gli errori. Non esiste l'infallibilità dei tedeschi, altrimenti non avrebbero perso due finali in tre anni: ma l'osservanza delle leggi fa sì che si possano riproporre nella stagione successiva con uguale potenza. Bayern e Borussia Dortmund rappresentano due sistemi diversi di raggiungere il successo, però riflettono la composizione integra del campionato in cui abitano. La Serie A si accontenterà dell'arbitro della finale. Forse.

La Gazzetta dello Sport