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Debutti eccellenti e scudetto ye-ye. La prima a Roma è sempre storica

Roma-Fiorentina all’esordio del campionato non è mai stata una partita banale perché spesso segna l’inizio di qualcosa di importante. Converrà quindi andare con la memoria alla più bella in assoluto …

Redazione VN

Roma-Fiorentina all’esordio del campionato non è mai stata una partita banale perché spesso segna l’inizio di qualcosa di importante. Converrà quindi andare con la memoria alla più bella in assoluto delle gare di apertura.

L’anno dello scudetto

29 settembre 1968, in Italia ci sono le prime avvisaglie di una contestazione che sarà lunga e porterà strascichi tragici, ma il calcio vive ancora in paradiso per la vittoria in estate del Campionato Europeo, primo successo della Nazionale dopo ben trent’anni. La Fiorentina è la classica outsider e nemmeno tra le più quotate, tutti puntano ancora sulle milanesi che hanno dominato in lungo e largo, e semmai ci sarebbe la Juve, già vincitrice nel 1967, come possibile sorpresa. I viola lassù in cima proprio no, non li vede nessuno, perché hanno venduto i due azzurri Albertosi e Bertini per fare cassa, perché Pesaola è ritenuto un tecnico da metà classifica o poco più, perché insomma lo scudetto è affare di altri. E infatti l’inizio all’Olimpico contro la Roma è da far paura: passa un minuto e Taccola porta in vantaggio i giallorossi. È una mazzata notevole, ma un grande De Sisti, ex sempre rimpianto, dirige splendidamente le operazioni e la squadra cresce sempre di più, fino a pareggiare con Amarildo e passare addirittura in vantaggio con Maraschi. Ottima organizzazione difensiva per reggere il pressing avversario e vai con il primo successo in campionato. Non è ancora la squadra tipo che vincerà il secondo tricolore, perché in attesa dell’esplosione di Esposito in mediana c’è la vecchia roccia Pirovano e l’indisciplinato Chiarugi non riesce ancora a convincere Pesaola che gli preferisce l’ombroso Rizzo, ma gli altri ci sono già tutti. A fine partita il tecnico argentino di nascita, ma partenopeo di adozione, dunque addestrato all’arte della furbizia, gioca di rimessa e parla di «un buon inizio che però non ci deve far dimenticare che il difficile deve ancora venire». Il romanzo di quella stagione sarà invece molto più avvincente e regalerà quello che nessuno si aspettava.

Il bis nel 1970

Due anni dopo sembra il remake della stagione dello scudetto che invece purtroppo resterà irripetibile. L’esordio del campionato è ancora a fine settembre, ancora nella Capitale e ancora contro la Roma. Le attese sono enormi, la Fiorentina ha fatto il colpo dell’estate comprando a peso d’oro Alessandro Vitali, secondo solo all’immenso Gigi Riva nella classifica cannonieri del campionato precedente. Se ne va dunque il vecchio bucaniere Maraschi e c’è spazio per il nuovo bomber a cui viene profetizzata una veloce convocazione in azzurro. I terzini non sono più Rogora e Mancin, ma Stanzial e Botti e sinceramente non è la stessa cosa, ma tant’è. Quello che conta sono gli attaccanti e infatti Chiarugi, ormai titolare fisso, nel primo tempo segna il gol che oltre a dare i due punti pone la Fiorentina tra le favorite per la lotta allo scudetto. Ancora una volta Pesaola prova a gettare acqua sul fuoco di un pericoloso entusiasmo, ma stavolta non lo sta a sentire nessuno perché davvero pare che nessun traguardo sia precluso ai viola. Finirà invece in ben altro modo, dopo una stagione drammatica, con Vitali che segnerà appena sei gol, ma che sarà lo stesso il miglior realizzatore di una squadra a cui occorrerà un mezzo miracolo e l’arrivo del pirotecnico ed improbabile Oronzo Pugliese per salvarsi.

L’emozione di Cecchi Gori

Passeranno vent’anni prima che la Fiorentina giochi di nuovo all’Olimpico per la prima di campionato e nel 1990 la gara ha un significato particolare perché segna l’esordio ufficiale alla presidenza di Mario Cecchi Gori, appena subentrato ai Pontello. Il suo arrivo aiuta a dimenticare le polemiche della finale Uefa al veleno persa con la Juve e soprattutto della cessione di Baggio ai rivali di sempre. Il produttore vive a Roma, è un entusiasta, innamorato pazzo della squadra e ci terrebbe moltissimo a fare bella figura. Sarà invece un disastro: i viola orfani per la prima volta del loro campione, annaspano, e per Voeller e compagni sembra quasi un’amichevole. Il sostituto del Divin Codino sarebbe il povero Zironelli, palesemente inadatto ad un compito così gravoso e per questo la pesantissima maglia numero dieci va sulle spalle del più robusto Fuser che fa quello che può, ma predica in pratica nel deserto perché anche Dunga è fuori forma. Come se non bastasse il 4 a 0 finale, al povero Mario Cecchi Gori tocca pure subire la sarcastica battuta del collega presidente Dino Viola: «Non è un gran problema questa sconfitta per il presidente della Fiorentina, lui è sempre stato uno straordinario campione di incassi».

E quella dei Della Valle

Quattordici anni dopo sarà invece un’altra dirigenza ad avere l’onere-onore del debutto in serie A contro la Roma. Sembrava incredibile solo ventiquattro mesi prima, quando c’era stato il fallimento, ma il 12 settembre 2004 i viola ritrovano la massima serie, quella mai abbandonata mentalmente dai tifosi che vanno in cinquemila all’Olimpico proprio per celebrare la fine del periodo più nero di tutta la storia della Fiorentina. Davanti alla formazione allenata da Mondonico, riconfermato con qualche perplessità in panchina, c’è una squadra non troppo in forma, anche se può disporre di Totti, De Rossi, Cassano e un giovanissimo Aquilani. Il problema però arriva dalla panchina, dove schiuma di rabbia un certo Montella, ormai trentenne, che il tecnico Voeller vede e non vede. Stavolta però, viste le difficoltà dell’attacco, decide di dargli fiducia e Vincenzino entra all’inizio del secondo tempo: dopo appena nove minuti sparisce dal radar della sperduta coppia Viali-Dainelli, si presenta davanti a Lupatelli e segna la rete successo giallorosso. Nessuno avrebbe potuto immaginare che dieci anni dopo Montella avrebbe guidato i viola dalla panchina proprio contro quella che è ormai diventata la sua bestia nera da allenatore. Roma-Fiorentina alla prima giornata si è giocata altre due volte in epoche ormai lontanissime e anche in quei casi furono partite particolari. Il 12 settembre 1937 i viola ne presero quattro e fu l’inizio di una stagione disastrosa, culminata con l’ultimo posto e relativa retrocessione. A guidare a centrocampo i giallorossi c’era l’immenso Fulvio Bernardini, che poi avrebbe scritto la storia del calcio a Firenze. E la prima Roma scudettata giocò la sua partita d’esordio nell’ottobre del 1942 proprio contro la Fiorentina, vincendo per uno a zero, ma ormai in Italia c’era davvero poco tempo per pensare al calcio perché la tragedia della guerra era ormai entrata nella vita di tutti.

David Guetta - Corriere Fiorentino