Una carezza al pallone e uno spazio inventato laddove uno spazio, per tutti gli altri, non c’era. Squadra e compasso, pennarelli cerebrali per disegnare traiettorie sulla fascia, per dare gioco, per fare gioco. Qualità, in altre parole. Quella che i tifosi viola pretendono sia la cifra della Fiorentina, sempre e comunque. Perchè senza quella, da queste parti, non ci si mette nemmeno a sedere. Prima non c’era, ora c’è. E l’alchimia della scossa settembrina d’emozioni in casa viola sta tutta qui. A Firenze si (ri)gioca a calcio, non è meraviglioso? L’intuizione di Pradè e Montella è stata, a suo tempo, semplice e clamorosa: se la Fiorentina doveva ripartire lo avrebbe fatto da lì, dalla qualità appunto, la grande assente degli ultimi due anni. Una regola solamente: prendere gente che sa giocare la palla.
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De Sisti, mi ritorni in mente
Il ritorno di un regista puro, Pizarro
E allora ecco dalla Roma David Pizarro, pittore e ragioniere della mediana. Una testa pensante (a costo zero) che esalta con la lineare furbizia delle traiettorie, un passo calcolato che rassicura perche’ in mezzo al campo è il “nonno” che sa sempre dove sta il mazzo di chiavi, dove son le cose e dove vanno messe quando le trova buttate all’aria. Conosce il calcio italiano perchè ormai è un veterano, il suo esordio, con la maglia dell’Udinese risale al 1999, sa dare equilibrio e tra i reparti è un collante micidiale. In più, spesso e volentieri, la butta dentro. Che male non fa. E poi c’è Borja Valero, 27 anni di fosforo e fantasia, “cervello” spagnolo che governa le sinapsi di un gioco, quello viola, ora geniale, ora riflessivo, ora estroso, ora battagliero. Sangue latino e calma danese, il cocktail funziona, Firenze batte le mani, si mette in coda per la Juve otto giorni prima che arrivi, e risente le farfalle nello stomaco. Una sensazione fisiologica dopo una stagione intera passata a tirare pugni per l’aria con il Tanque Silva che dopo improbabili fughe da fermo andava a infrangersi contro i pannelli pubblicitari insieme alla dignità di una città con le mani nei capelli.
La "qualità" serviva come il pane, come un ansiolitico per cavalcare le nevrosi di un centrocampo senza più ne’ cuore ne’ testa. E’ bastata una partita, la prima con l’Udinese, in un Franchi appiccicoso e bollente, perchè scoccasse la scintilla. Ai fiorentini non poteva sfuggire il segnale dell’onda lunga del cambiamento. «Quei due nel mezzo sanno giocare a pallone» si disse. E se il Franchi dice così è una sentenza della Cassazione. I due centrocampisti si sono subito presentati bene. Valero è intelligenza tattica pura, Pizarro fa frullare la squadra. Paragoni? Fabio Liverani è il primo nome che viene in mente. Poi bisogna alle immagini sgranate di Eraldo Pecci, cuore e passo da gigante, manovratore godereccio, cervello raffinato. Mancava da una vita un regista vero, uno che prendesse per mano la squadra e, metaforicamente, un po’ tutta la città. Uno di cui invaghirsi, insomma. Uno come Picchio (e qui si va nella preistoria romantica) che a Firenze resta un mostro sacro. Giancarlo De Sisti, una forza della natura. Pizarro e Borja hanno una forza particolare: sono in grado di evocare, e lo fanno in una città che il suo passato non l’ha dimenticato mai.
E che ora applaude Facundo Roncaglia che sembra sbucato da un poster degli anni ’80. Applaude un portiere, Viviano, che è nato a Fiesole e ha il viola nel sangue. E salta in piedi per «Lucatoni». Perchè dopo anni di cielo piatto e noioso, a Firenze c’è una gran voglia di “furmini”.
La Nazione
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