Chiariamoci subito: l’uomo che oggi torna al «Franchi» vestito di granata, probabilmente si beccherà i fischi ma sarebbe un errore considerarlo un Montolivo 2: mentre il milanista è voluto andare via a tutti i costi, con Firenze che voleva trattenerlo, lui sarebbe rimasto nonostante mezza città lo volesse cacciare. E poi: mentre Montolivo è stato ignavo, immediocrendo la sua voglia di fuga con scuse pissere, lui ha sempre moltiplicato i problemi mettendoci la faccia, naturale e dannoso come uno tsunami. Non è la stessa cosa. Sì, Alessio Cerci da Valmontone è un personaggio senza salvagente.
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Cerci, cioè il sale del calcio
Chiariamoci subito: l’uomo che oggi torna al «Franchi» vestito di granata, probabilmente si beccherà i fischi ma sarebbe un errore considerarlo un Montolivo 2: mentre il milanista è voluto andare …
Un istintivo ciociario spesso inintelliggibile e per questo formidabile alimentatore di leggende, come quella che lo voleva a passeggio per Firenze col gatto a guinzaglio o perplesso con la fidanzata davanti a Ponte Vecchio: «O questo cos’è?». Per questo, come gli adolescenti inconsapevoli, spesso si è fatto detestare passando per spaccone quando la sua era solo sbruffonaggine ingenua da bambinone non cresciuto. Così, chi sia Alessio Cerci la nobile Torino granata non ci ha messo molto a capirlo, quando, arrivando, chiese e ottenne un numero sacro, l’11 di Pulici. I paraguru del pallone avrebbero fatto altrimenti, ma Cerci è così: ha la diplomazia di un sarchiapone e il tatto di un cinghiale brado. Però sul campo è un’altra cosa. Cerci è un’ala destra per vocazione. Un solitario anarchico della fascia che ama iniziare la giornata in dribbling e terminarla nel caos dell’area di rigore. Il suo calcio è naturale come il vento, fragoroso come lo scoppio del carro e musicale come un andante di Pergolesi. Nelle giornate di grazia, poi, quando galoppa sulla fascia imprendibile e magico come un lampo estivo, sembra un Chiarugi del terzo Millennio, un Bruno Conti che ha sbagliato balsamo.
Certo, come tutte le ali destre di rango, anche Cerci ha dosi di lazzaronismo, che lo hanno portato a parcheggiare l’auto dove altri non avrebbe messo in sosta nemmeno un pensiero (Al vigile: «Lei non sa chi sono io». E il vigile: «Lei invece fra poco si accorgerà chi sono io»). Per questo, arrivando in granata, la maglia da chiedere non era quella di Pulici ma di Meroni, che i tifosi chiamavano «la Farfalla» perché non lo pigliava nessuno. Né i terzini in campo, né i dirigenti del Toro dopo la gara. Qualcuno ora dice che Cerci potrebbe tornare a Firenze. Chissà. Le «cercinarie», realizzate da questo giornale, hanno detto che sul tema la città è spaccata a metà. Il che ribadisce due cose. Che Firenze per sempre rimarrà Guelfa e Ghibellina. E che i giocatori come Cerci son fatti apposta per dividere le città in Guelfi e Ghibellini. Che poi, a pensarci bene, è il sale del calcio.
Stefano Cecchi - La Nazione
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