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Calcio, fede e quel no a Sir Alex Così «Berna» è diventato grande

L’inizio tra i Pulcini, la paura di non crescere, e un sinistro speciale: la storia del gioiello viola, tra sogni e realtà

Redazione VN

La sua prima volta è stata da talento puro, un colpo quasi alla Pepito Rossi che in estate lo ha consigliato e coccolato come fanno i campioni quando riconoscono nei giovani i segni del predestinato. Un lampo, un’intuizione e poi quella rete, finalmente, arrivata al minuto 87’ di Fiorentina-Guingamp: spalle alla porta, controllo perfetto e sinistro preciso all’angolino. Come Pepito, appunto.

Lui, Federico Bernardeschi, classe ‘94, soprannomi ancora non ne ha. Per ora è solo «Berna», l’abbreviazione del cognome come si fa tra compagni di classe a scuola, oppure solo il «giovane» attaccante, quello «cresciuto nel vivaio» che però ha voglia e capacità per farsi strada velocemente anche tra i grandi. «Sensazione unica... tre punti e primo gol» ha scritto su Facebook il giorno dopo. Unica come l’emozione che il piccolo Federico all’età di nove anni ha provato al primo allenamento in maglia viola. È il settembre del 2003 quando la Fiorentina decide di puntare su questo bambino nato a Carrara. Piccolo, forse troppo, ma incredibilmente bravo. Insieme a lui babbo Alberto (marmista e osservatore calcistico di mestiere) e la mamma che lo seguono ovunque, dalla prima trasferta con i pulcini viola fino al Franchi per la prima consacrazione. Una strada lunga, insomma, piena di sacrifici per Federico e per questa famiglia di Carrara, con le domeniche divise tra calcio e messa, e guai saltare la seconda. Già, perché per Bernardeschi come il pallone c’è solo la fede, ereditata dai genitori, tanto da tatuarsi sul corpo anche il Padre Nostro (in latino) e un’immagine di Gesù.

Religione e calcio, che se non fosse di Carrara potrebbe sembrare quasi sudamericano. Anche per la passione che ha sempre messo in campo tanto da iscriversi in una scuola calcio all’età di sei anni. Velocità, dribbling, Federico ha qualcosa (tanto) in più degli altri. E allora dopo un solo anno all’Atletica Carrara ecco il primo trasferimento. Nel 2001 il Ponzano, società molto vicina all’Empoli, decide di tesserarlo. Gioca nei Piccoli Amici, poi nei Pulcini ed ecco la proposta della Fiorentina. È la svolta. Quel piccolo bambino biondo che gioca ancora con la maglia che arriva fino alle ginocchia non solo segna e fa segnare, ma colleziona premi su premi come miglior giocatore dei tornei. Tutti i giorni sale in macchina con babbo Alberto, la strada Carrara-Firenze per lui è come quella per andare ai giardinetti. Sacrifici, ancora sacrifici, per inseguire il sogno sapendo di avere in dote un piede mancino difficile da trovare in giro.

E allora inizia la trafila: Pulcini, Esordienti, Giovanissimi Professionisti e poi Giovanissimi Nazionali, stagione 2008-2009, quando arrivano i primi ostacoli. Perché il suo corpo non cresce alla stessa velocità del talento e quel refrain «è troppo piccolo per diventare un calciatore» inizia a martellargli nella testa come una condanna. Gli effetti si vedono anche sul campo dove trova meno spazio di prima, per colpa di centimetri e chili che ancora non ha. Federico però non molla e si rifugia ancora una volta nei suoi colpi mancini che finiscono per essere quasi sempre decisivi. Prima da attaccante puro, poi come esterno d’attacco. Passa un anno, poi due e anche il suo corpo inizia a rispondere come dovrebbe. Anzi, nell’estate del 2011 Federico si trova dentro un sogno, almeno per qualche giorno. Un uomo con accento inglese e simbolo del Manchester United sulla giacchetta bussa alla porta dei Bernardeschi in provincia di Carrara, con una valigetta e un contratto solo da firmare. Che invece babbo Alberto rispedisce al mittente, con tanti ringraziamenti a Sir Alex Ferguson per la gioia di Pantaleo Corvino che in quella «pianticella» vede un pezzo di futuro viola.

Lui, Federico, non si monta la testa, continua gli studi al liceo scientifico sportivo e si allena prima con gli Allievi e poi con la Primavera, con qualche presenza al centro sportivo dei grandi. E intanto impara, assorbe, osserva, cerca di imitare dai campioni della Fiorentina o dai suoi idoli calcistici. Come Cristiano Ronaldo per cui ha una vera e propria ossessione: conosce a memoria tutti i suoi gol e cerca di imitarlo in tutto, dalle punizioni fino al taglio dei capelli. Ma quello che conta è la crescita in campo. E Bernardeschi nel giro di pochi mesi diventa il capitano della Primavera viola trascinando la squadra a suon di gol fino al giugno 2013. Quando arriva il grande salto: il 31 agosto dopo aver firmato un contratto di quattro anni con il club dei Della Valle (le parti stanno trattando ora un adeguamento e un prolungamento) viene girato in prestito al Crotone in serie B. Il resto è storia recente, fino al gol di giovedì sera. Festeggiato con mamma, babbo e fidanzata, sempre al suo fianco, passati dai freddi gradoni del Poggioloni ai comodi seggiolini del Franchi, solo per stragli vicino. Solo un amico speciale mancava, per forza di cose, allo stadio: il suo pastore corso di quaranta chili di nome Birillo. Solo lui si è perso Federico che spalle alla porta controlla il pallone e calcia di sinistro all’angolino. Tutti gli altri, Della Valle in testa, si sono alzati in piedi ad applaudire.

Corriere Fiorentino