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Agroppi: “Io un anti Juve ma pazzo di Sivori”

Se qualcuno avesse osato scriverlo, il rischio della querela sarebbe stato concreto, ma siccome lo ha detto lui si può tranquillamente virgolettare senza problemi. «Sì, io Aldo Agroppi, anti bianconero …

Redazione VN

Se qualcuno avesse osato scriverlo, il rischio della querela sarebbe stato concreto, ma siccome lo ha detto lui si può tranquillamente virgolettare senza problemi. «Sì, io Aldo Agroppi, anti bianconero viscerale e da sempre polemico contro di loro, sono stato un tifoso della Juventus. E non era neanche un'infatuazione leggera perché sul carter della mia bicicletta avevo attaccato i tondini con le facce dei giocatori di fine anni Cinquanta e ne avevo uno che mi aveva conquistato il cuore e che ancora adesso considero con Maradona il miglior straniero mai arrivato in Italia: Omar Sivori. Ora che è lassù, gli mando un saluto affettuoso».

Poi a diciassette anni il giovane Agroppi varcò le porte del Filadelfia e nulla fu più come prima. «Eh sì, giocavo con i calzettoni abbassati, alla "cacaiola", proprio per imitare Sivori, gli ho fatto la posta per incrociarlo, l'ho amato calcisticamente, ma una volta viste nello spogliatoio del "Fila" le foto del Grande Torino e la carlinga dell'aereo che si schiantò a Superga capii che dovevo comportarmi da uomo, amare il Toro, e diventai un cuore granata». 

E per riflesso anche un appassionato della Fiorentina, che venticinque anni dopo avrebbe avuto l'onere e l'onore di allenare e anche in quel caso la Juve diventò la «nemica» calcistica numero uno. «La vittoria per due a zero nell'aprile del 1986 è stato probabilmente il punto più alto della mia carriera di allenatore. Battemmo la Juve di Platini, non una squadra qualsiasi, e al secondo gol di Berti, dopo una fantastica galoppata, entrai in campo urlando e alzando il pugno. Ero un giovane allenatore esordiente in serie A, avevamo fatto un gran campionato e con due punte vere avremmo puntato allo scudetto e così mi concessi una licenza poetica che non piacque al potere del calcio. Boniperti dopo la partita fece delle dichiarazioni polemiche nei miei confronti, io presi carta e penna e gli mandai una raccomandata piccata che lui ricevette perché ho ancora la ricevuta di ritorno, solo che non mi rispose mai. Ci sono voluti oltre vent'anni e l'intercessione di Sergio Brio e Claudio Nassi per avere una sua telefonata e fare pace».

Cosa rappresenta oggi la Juve? «Quella che è sempre stata, un misto di arroganza, potere, di forza da tirare fuori sempre al momento giusto. Per decenni si sono crogiolati con la storia di non essere mai retrocessi ed invece era una balla colossale perché nel 1913 arrivarono ultimi nel loro girone, con appena una vittoria, un pareggio e ben otto sconfitte. Solo che guarda caso con un'abile opera diplomatica fecero in modo di abolire proprio in quell'anno le retrocessioni e pensare che ancora non erano arrivati gli Agnelli...».

Ma la Juve per Agroppi rappresenta anche ricordi dolorosi, dentro e fuori dal campo. «Nel 1972 facemmo con Giagnoni un grande campionato, eravamo in volata con loro quando Barbaresco a Genova contro la Sampdoria mi annullò un gol regolare e così perdemmo lo scudetto. Poi c'è stato Lippi, che da allenatore bianconero, non sopportando le mie critiche, fece una cosa scorrettissima nei miei confronti usando il suo potere per farmi smettere di lavorare in Rai. Non era più lo stesso allenatore che prima di arrivare a Torino mi chiedeva informazioni sui giocatori...».

In quanto ad antipatie, soprattutto dalle parti di Firenze, non si scherza nemmeno con Conte. «È convinto di essere diventato indispensabile per le vittorie della Juve quando invece l'allenatore conta molto meno dei giocatori. Urla tanto e lo faceva anche quando lo esoneravano, come successe a Bergamo, ma io gli vorrei ricordare che gli scudetti li hanno vinti anche dei tecnici silenziosi come Liedholm o Eriksson».

Corriere Fiorentino