Giornata primaverile a Firenze: arriva il primo sole caldo che acceca i tifosi in curva. La gente è positiva: “Questa partita è fattibile, insomma il Chievo è poca roba”. “A me la scorsa con il Bologna mi ha sconcertato, ma questa si vince di parecchio” ci dice un tifoso di fretta. Saliamo le gradinate e notiamo che campeggia ancora lo striscione che invita tutta la curva a cantare: ancora il tifo non è completamente unito. “Scommetto che il Chievo giocherà tutto dietro, fanno catenaccio” ci dice un nostro coetaneo.
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Vista dalla Fiesole: tra agonia e gioia arrivano i tre punti
Un’altalena di emozioni che manda in delirio la curva
Il clima è quello giusto: giornata calda, tifo bollente e sciarpe in alto. L’apporto canoro è buono e il colpo d’occhio è quello adatto per una bella vittoria rotonda. Applausi a Dainelli, inno viola e si parte. Dopo tre minuti veniamo colti di sorpresa: Pasqual l’ha piazzata sotto la traversa. E’ un esultanza strana, quasi forzata: ancora non eravamo entrati completamente nel clima del match. Tutti adesso si aspettano la goleada: “Se ne fa quattro come contro il Siena”. In realtà il Chievo non ci sta: Thereau di testa ci fa prendere un colpo; sembrava già dentro. La Fiorentina riparte e la porta sembra stregata: prima Ljajic, poi Borja e infine Jovetic si mangiano gol quasi già fatti. Il Chievo è vivo e mette in risalto “le buche in difesa da ricovero” dei nostri. Non ci piace come gioca la Fiorentina: sprecona e troppo blanda nel reparto arretrato. Dopo l’ennesimo gol sbagliato da pochi centimetri (stavolta ci pensa Pasqual), veniamo nuovamente colti di sorpresa: il nucleo del tifo viola ci invita a sederci per far partire un coro coreografico, ma Cofie ci rovina la festa. Anche in questo caso non è il solito brivido freddo che arriva ogni volta che subiamo gol: eravamo impreparati e infatti c’hanno fatto l’1-1.
L’intervallo è il centro di ogni pessimismo cosmico: “Compper pare il Cerci della difesa” dice qualcuno dietro noi. “Ma Toni è ingrassato o sbaglio?”, “Aquilani è un fantasma”, “Viviano la farà mai una parata?”, sono i vari commenti che costellano un quarto d’ora abbastanza deprimente: il gol nel finale del primo tempo adesso brucia parecchio. Finalmente anche la Fiesole rende omaggio al Pontefice viola: la curva canta “Mario uno di noi” e qualcuno si commuove. Si riparte con un cauto entusiasmo e con un Romulo in più. La Fiorentina c’è poco e Paloschi va al tiro: grazie al cielo la palla vola alta. Ecco che arriva la mossa che non ti aspetti: dentro Larrondo, fuori Jovetic; la gente rumoreggia e non capisce. Già la sostituzione di Ljajic con Romulo ci lascia un po’ perplessi: il brasiliano non ne azzecca una. Dopo l’ennesimo giallo a Pizarro, Toni colpisce il palo di testa: l’urlo rimane strozzato in gola e speriamo che nel mischione successivo succeda qualcosa; Larrondo calcia nella confusione sbagliando un gol clamoroso. “Questo è un brocco!”, “Come fa uno che gioca in Serie A a sbagliare una cosa del genere?”: la gente è arrabbiata e sconcertata allo stesso tempo. Sembra che anche stavolta la Fiorentina si lasci scappare i tre punti. Ma alla mezzora e tre gradoni più avanti troviamo il gol dello stesso Larrondo: la gioia è incontenibile, il boato è assordante, la gente ci fa girare come trottole. Scopriremo più tardi che il gol era in fuorigioco, ma sinceramente ce ne importa poco. Ed eccolo Marcelo che prende gli applausi della curva. Poco più tardi stoppa palloni e serve sponde che aiutano la causa viola: la curva si trasforma e Larrondo è il nuovo fenomeno; “Questo alla fine è bravo”, “Guarda che tocco”, “Montella c’ha visto lungo”.
Doveri assegna tre minuti di recupero: la curva li vive in agonia aspettando che l’arbitro decreti la fine. Alla fine arriva la cura alla tortura del tempo addizionale: triplice fischio e tre punti in cassaforte. Il popolo viola è entusiasta ma allo stesso tempo critico nei confronti di una prestazione non certo perfetta: nonostante ciò per le strade intorno al Franchi risuonano clacson e cori improvvisati. La gente fa ritorno a casa con il sorriso sulle labbra e con un sogno per l’Europa nel cassetto.
ARTURO LEONCINI
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