Da domenica a domenica, sette giorni che nel calendario avrebbe senso lasciare ad una categoria a parte. Da quella della doccia fredda di Udine a quella di Firenze, dove se non altro la pioggia è servita a lavare via qualche lacrima in più. Ripartire era doveroso ed è stato fatto con un successo ambiguo, non proprio vuoto ma certamente insipido, insolito.
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Il silenzio prima, la musica di Firenze poi. La partita nella partita del D-Day
Difficile pensare ad un modo migliore per commemorare Davide e i suoi valori. Firenze ha risposto presente e ci ha preso in pieno
Le condizioni climatiche non hanno favorito l'affluenza di massa vera e propria, ma la quota dei presenti è andata ben oltre le 30mila unità e già questa era una buona premessa. Poi i Della Valle: si dava per scontato Andrea e Diego con riserva, invece si sono presentati entrambi e con grande anticipo. Un segnale concreto di vicinanza che va ad aggiungersi agli altri recenti. Ed erano in tanti anche da Benevento, il che rappresenterebbe un dato inutile se non fosse che hanno partecipato alle varie forme di commemorazione con la stessa emozione (e intensità) del popolo viola.
Tra gli aggettivi più ricorrenti in questi giorni c'e n'è uno, «surreale», di cui si è fatto un uso davvero smodato. Però in un preciso frangente era quello giusto: al momento dell'ingresso in campo delle due squadre, sì, il clima del Franchi era realmente surreale. Non un sussurro, non una parola; nient'altro che il religioso silenzio osservato con gli incollati al maxischermo, dove Terra degli Uomini di Jovanotti risuonava scandendo una dopo l'altra le immagini di Davide. Quindi i convenevoli tra i ventidue in campo: il rumore di mani che impattavano su altre mani era netto a tal punto che sembrava di esserci sul serio, lì a bordo campo. E invece eravamo su, a decine di metri di distanza.
Migliaia di palloncini sono volati verso il cielo, insieme e a tempo determinato. Migliaia di piccole carezze, di piccoli messaggi o post muti. La coreografia disposta dai gruppi della Curva Fiesole ha tolto di bocca la parola chapeau al più distaccato tra gli insensibili. L'unione e il senso di comunità hanno fatto la loro parte: ne è risultato un messaggio incisivo, compatto, vero. E da uno stadio restio ad esibirsi in cori ad personam il suo nome è risuonato centinaia di volte, ricordando al mondo del calcio che sensibilità, rispetto e riconoscenza sono valori di cui Firenze sa essere portatrice.
Al fischio finale gli uomini di Pioli hanno alzato psicologicamente bandiera bianca. Accasciati, piegati in due, sdraiati. Con le mani dietro la testa, sui fianchi, sul volto, increduli e stremati. La partita era finita per sempre, il dolore lo aveva banalmente smorzato (pro tempore) l'adrenalina. Ma oltre tutto questo, è la cornice che ha colpito e sta continuando a colpire in positivo. La prolungata partita nella partita, quella disputata da Firenze e dai Fiorentini negli ultimi sette giorni, non poteva essere condotta meglio. E oggi, che con l'ultimo dei D-Day si chiude idealmente un cerchio, non resta che apprezzare il viscerale sentimento di unità che dalle ceneri della tragedia ha tratto la sua origine.
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