Un cognome pesante da portare sulle spalle e la voglia matta di affermarsi. Federico Chiesa e Eddy Baggio sono legati da questo filo invisibile. Ad unirli però c'è anche la carriera nelle giovanili viola e una stagione passata insieme: Eddy allenatore, Federico giocatore. Sono passati tre anni da quando erano insieme nella categoria Giovanissimi Nazionali. Violanews.com ha contattato in esclusiva l'ex allenatore per una panoramica su Chiesa.
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E. Baggio a VN: “Chiesa vuole arrivare. Cognome pesante? Al primo allenamento lo presi da parte…”
"Quando lo allenavo rimasi impressionato dalla sua determinazione. Papà Enrico era presente ma non pressante" Sul cognome ingombrante...
Baggio, che ricordo ha di Federico?
"Un ragazzo ideale, sempre disponibile a lavorare al massimo ad ogni allenamento. Aveva grosso spirito di sacrificio, la parte che di lui più mi ha colpito e che più si fatica a trovare nei giovani calciatori. Si è sempre contraddistinto dagli altri per la grande voglia di arrivare e oggi questa tenacia lo sta ripagando. Ricordo che farlo uscire dal campo dopo l'allenamento era faticoso perché aveva sempre voglia di stare col pallone tra i piedi. Ci allenavamo tre ore? Lui ne faceva almeno tre e mezzo".
A Baku ha realizzato il primo gol tra i professionisti. Ma il ruolo giusto in campo qual è?
"Il gol è un premio per il lavoro fatto ed un'enorme soddisfazione. Con me giocava sempre punta esterna, è bravo a partire largo e poi vede bene la porta. E' un ragazzo generoso e che sa adattarsi alle esigenze dell'allenatore per cui dove lo metti gioca e dà il massimo. Per disponibilità e atteggiamento si può paragonare a Bernardeschi".
Sousa ha detto più volte che può diventare una bandiera viola.
"Beh, Sousa lo vede tutti i giorni, io lo allenavo tre anni fa. Ricordo grande disponibilità e voglia di arrivare come ho detto. E' da tanti anni a Firenze, chissà che non possa andare davvero come dice il suo allenatore".
Inoltre a Firenze ha giocato suo padre Enrico. Padre-modello presente?
"Sì, presente ma non pressante. La famiglia lo seguiva come fanno tutti ma non lo ha mai caricato di particolari aspettative. Federico deve fare la sua strada vivendo le esperienze in prima persona. Deve solo stare tranquillo per esprimersi al meglio".
Anche perché ha un cognome pesante. E lei ne sa qualcosa...
"E' vero. Quando eravamo insieme nelle giovanili della Fiorentina lo presi da parte al primo allenamento. Ci parlai e gli dissi che nessuno come me poteva capire cosa significasse portare un cognome pesante. Ho cercato di immedesimarmi in lui e l'ho rassicurato perché dall'esterno ci si aspetta sempre molto dai figli e fratelli d'arte. Lui allora aveva solo 14 anni e a quell'età si può essere fragili. Entrambi in famiglia abbiamo avuto esempi difficili, per questo cercai di metterlo a suo agio. Ma Federico sa dove vuole arrivare e questa è la sua arma in più".
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