L'istinto di sopravvivenza del nostro calcio, colpito e affondato dalla tecnologia, dalle idee e dai soldi dei campionati più ricchi, sta scatenando una sorta di nuova corsa all'oro. In pratica stiamo assistendo a un'inversione di rotta nelle strategie dei grandi club che, dopo le stagioni dell'opulenza, ora si trovano a fare i conti con una recessione di cui non si scorge la fine e il cui risultato pratico è il sostanziale impoverimento tecnico della serie A. Prendiamo il Milan, che negli anni del suo massimo splendore non si faceva scrupolo di utilizzare giocatori usa e getta (vale a dire pronti per vincere e dunque privi di qualsiasi tipo di prospettiva) a scapito degli investimenti a lungo termine sui giovani: ora l'input berlusconiano si riferisce alla costruzione di una squadra under 22, fresca nelle idee e nel talento.
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Calcio e crisi, spazio ai cercatori di talenti
L’istinto di sopravvivenza del nostro calcio, colpito e affondato dalla tecnologia, dalle idee e dai soldi dei campionati più ricchi, sta scatenando una sorta di nuova corsa all’oro. In pratica …
L'esperienza rossonera è la punta di un iceberg. Scarseggiando i soldi, costretti a dipendere in maniera perfino fantozziana dalla Tv che tra un po', continuando di questo passo, pretenderà di far giocare qualche partita alle 3 di notte se soltanto si dovesse scoprire che il numero dei sonnambuli è di un certo interesse, i nostri club, inclusi quelli di prima fascia, sono per forza di cose obbligati a puntare sui vivai. Diventa così fondamentale la figura del cercatore d'oro sui campi di periferia, del cacciatore di talenti, del cane da tartufo la cui dote principale, lo dice la parola stessa, non può non essere un fiuto sviluppato.
«La prima cosa che osservo in un giovane è il fisico, l'eleganza. Certo, poi ci devono essere la tecnica e l'intelligenza». Da due anni Aldo Iacopetti cerca pepite d'oro per conto della Juve. In precedenza era stato responsabile degli osservatori al settore giovanile del Milan e responsabile del settore giovanile della Samp. Lui, probabilmente, Maradona lo avrebbe scartato. «Per me uno brutto dev'essere un fenomeno». «Il calcio è ancora pieno di gente che si arrangia — racconta Fulvio Fiorin, colonna portante del settore giovanile milanista e braccio destro in panchina di Pippo Inzaghi —. L'esperienza conta ma non è tutto. Ad esempio nel caso di un centrocampista, un osservatore normale guarda come un ragazzo riceve la palla e come la gioca, io invece mi focalizzo su quello che fa prima di ricevere la palla». Alessandro Musicco lavora per la struttura delle nazionali giovanili che fa capo ad Arrigo Sacchi: «In un giocatore noi ricerchiamo alcune caratteristiche: tecnica, personalità, intelligenza (lettura tattica nelle due fasi di gioco), velocità. Si tratta di criteri abbastanza scientifici, il resto dipende dall'intuito».
Buon naso, esperienza e un pizzico di rigore scientifico. Anche se poi, a ben vedere, certe intuizioni sono frutto del caso. Racconta Musicco: «La mia ex moglie, insegnante, aveva un collega che allenava in terza categoria. A furia di insistere mi convinse a visionare un giocatore nonostante avesse già 17 anni e giocasse in terza categoria. Quel ragazzo era Fabian Valtolina. Ha giocato in A: Piacenza, Venezia e Samp». Alla fine però la differenza la fanno le conoscenze, le amicizie («Se hai una buona rete di contatti puoi arrivare prima degli altri»). Nonostante l'abbaglio da parte di chi deve sganciare i soldi sia sempre dietro l'angolo. «Miccoli era al Milan, giocava con me nei giovanissimi nazionali e in un anno segnò una sessantina di gol — ricorda Fiorin —. Ad un certo punto la società cambiò strategia e decise di mollare i ragazzi che a suo dire non avevano futuro, lui incluso. Provai ad oppormi e mi fu risposto: ma lo vedi come è piccolo questo qui? In A non ci giocherà mai». Come volevasi dimostrare.
Corriere della Sera
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