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Tra divorzio e preoccupazione, con la Juve per salvare la stagione. L’editoriale di Rialti

A poche ore dal match vi riproponiamo il punto di vista di Alessandro Rialti

Redazione VN

di Alessandro Rialti

Da sempre Fiorentina-Juventus è stato un immenso amplificatore. Lo sarà anche oggi: una vittoria e una grande partita restituirebbero ai viola un attimo di serenità. Di colpo quanto di bello c’è fin qui stato (e c’è stato) tornerebbe in primo piano. Ma è ancor più vero il contrario, ovvero che una sconfitta e comunque una brutta gara della squadra di Sousa si trasformerebbe in una sorta di processo anticipato.

Mercoledì sera non mi è piaciuto niente. A Udine ho respirato qualcosa di preoccupante, una sorta di anticamera di crisi generale. La faccia di Paulo Sousa faceva paura. Grigio come l’asfalto. Parole in libertà, una sorta di predestinazione al collasso. Male, male, male. I ragazzi della curva, i tifosi tutti stanno tentando di salvare il salvabile. Bravi. Ma adesso non so più quello che potrebbe succedere stasera.

C’è aria di divorzio fra i Della Valle e Sousa. Cognigni mi è parso di colpo, mi ha riportato indietro nel tempo, alla rottura con Cesare Prandelli e la faccia di Sousa assomigliava maledettamente a quella di Montella.

Addirittura peggio la squadra. Pazzesca l’involuzione di Bernardeschi e Tello. Un vero e proprio balzo indietro. E la paura visivamente avvertibile di Roncaglia, Tomovic e compagni di linea. Mai mi sarei immaginato un crollo così verticale.

E ora? I Della Valle sanno che in discussione non ci sono alcuni giocatori, o l’allenatore con i suoi collaboratori, in discussione c’è quello che chiamano il Progetto. Io continuo a sperare che contro la Juve i viola abbiano un rigurgito di orgoglio. Sogno? Forse, ma è l’ultima chances che mi è rimasta. Poi temo il peggio.

Vedo che qualcuno è felice, dice che: l’aveva detto. Possibile. Ma personalmente non ci vedo niente di positivo, niente da festeggiare. Io voglio sperare in quest’ultima battaglia. Poi sarà quel che sarà. Se i sogni son finite, a ognuno il suo incubo.