Un giorno accendi la tv e senti uno che dice: le grandi vogliono Romulo. Romulo? Romulo chi? Romulo lui, il drone, il corridore senza paura, quello che dove lo metti va, quello che quando aveva la maglia viola arava il Franchi coi i suoi piedi da brasiliano si fa per dire. Così pensavano tanti, anche se l’affetto non era mai messo in discussione: Romulo Souza Orestes Caldeira sputava l’anima, e solo per questo gli volevi bene, e gliene volevi anche di più quando appariva dal nulla e risolveva una partita pazza. Era accaduto col Torino: Fiorentina sopra di tre gol, il Toro rimonta, i tifosi che non ci credono finché da una mischia non spunta il drone: pedata alla palla e 4-3, nemmeno Italia-Germania a Mexico 70.
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Lo strano caso del buon Romulo
L’incipit dell’articolo di Benedetto Ferrara su Repubblica
Mitico Romulo, calciatore che calciatore non sembrava proprio. Un brasiliano dall’aria ascetica e dalla vita semplice: una moglie giovane sempre tenuta per mano. Gentile, umile, votato al sacrificio. Iacopone da Todi, in confronto, ballava sul cubo allo Yab. Certo che poi è arrivata un’altra Fiorentina. Il tiki taka, il direttore Pizarro, il maestro Borja Valero. Tic e toc, calcio danzato e mille aggettivi superlativi. E Romulo che ci azzecca? Poco, a occhio. E così una pacca sulla spalla e tutti contenti: la Fiorentina lo manda a Verona e lui inizia a giocare. E gioca. Praticamente sempre. Certo, Orestes non è Toni. Non finisce in prima pagina. Lui si fa il mazzo. Prima da esterno basso, poi da terzo di centrocampo. Romulo lavora per gli altri. E questo si sapeva. Ma che a inizio aprile sarebbe diventato un assist-man di livello nessuno lo avrebbero detto e forse neanche lui.
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