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E il Mondiale si illuminò di Cuadrado

Eppure son certo che qualcuno l’avrà rimpianto. Haris Seferovic in viola aveva difficoltà a metterla dentro perfino nell’amichevole coi Monti Pallidi, e invece grazie a un suo guizzo nel recupero la …

Redazione VN

Eppure son certo che qualcuno l’avrà rimpianto. Haris Seferovic in viola aveva difficoltà a metterla dentro perfino nell’amichevole coi Monti Pallidi, e invece grazie a un suo guizzo nel recupero la Svizzera ha battuto l’Ecuador. Il Mondiale è un romanzo popolare che regala pagine inaspettate e belle di calcio, come quella di un portiere messicano disoccupato che fa il fenomeno e ferma il Brasile o di Seferovic che si fa bomber, appunto. Sì: anche visto dalla Torre di Maratona, ovvero da una prospettiva solo viola, il Mondiale è spettacolo insolito di sorprese e meraviglia. Come quella di vedere Rebic debuttare nella sua Croazia contro il Brasile giocando all’ala e poi in campo di nuovo contro il Camerun, due choc in un colpo solo per uno che credevamo centravanti puro e tribunaro per definizione. Tant’è.

Il mondiale visto dalla Torre di Maratona è un caleidoscopio di desideri alla ricerca di tracce di viola anche dove sarebbe impossibile trovarne. Così qualcuno ha visto qualcosa di Batistuta nell’argentino naturalizzato Gabriel Paletta (il nome), altri hanno sospettato in Andrea Barzagli, nato a Fiesole ma colonna della difesa iuventina, combattersi un conflitto interiore come quello che toccherà crescendo al figlio di Boccia e della De Girolamo; altri ancora hanno pensato che Ciro Immobile fosse solo un modo diverso per chiamare Josip Ilicic. Allucinazioni da Mondiale. Le stesse che hanno avuto gli azzurri giocando nel caldo brasiliano, dove c’è chi giura di aver sentito Dossena indovinare il nome di un giocatore durante la telecronaca. E poi c’è Prandelli, bresciano come Balotelli da cui si distingue per l’accento diverso e la scrinatura dei capelli più alta. La sua scelta di lasciare a casa Rossi e le motivazioni ipotetiche del Gran Rifiuto («Anche in moto non è più quello di una volta», pare abbia detto) non solo ha spinto in basso il suo tasso di gradimento con Firenze, ma ha anche ristretto l’orizzonte di gioia della città.

Perché, in quanto a emozioni profonde, una cosa sarebbe stata l’Italia con Pepito, altra questa con Balotelli che, avendo Raiola come procuratore, il prossimo mondiale potrebbe pure giocarlo col Belgio. Così, in un torneo dove la tecnologia ha influito sul risultato (non accadeva dei tempi dei telefonini di Moggi), con un pallone dal nome che sembra un’istigazione all’offesa (Brazuca) e dal costo astronomico (130 euro. Forse lo hanno cucito i bambini di Montecarlo), e con un’Italia mediocre al punto di buscarne perfino dalla Costarica (con Aquilani confinato all’ombra della panchina), al tifoso viola per lucidarsi gli occhi non è restato che guardarsi le imprese colombiane di Cuadrado, unico, vero, autentico, imprendibile protagonista gigliato in Brasile. Da questo punto di vista, si stava meglio quando si stava Baggio.

Stefano Cecchi - La Nazione