Il tifo e le sue degenerazioni. Lo striscione esposto dai tifosi juventini durante il derby, nel quale di fatto si sbeffeggiava la tragedia di Superga, ha riaperto il dibattito sulla legalità all’interno degli stadi. Il problema non è tanto cosa è stato scritto su quello striscione, ma come mai, nonostante i divieti e i controlli, è stato fatto entrare e ed rimasto impunemente esposto. La Juve si è beccata una multa, bazzecole. Non servirà ad impedire che in quello stadio, come in altri, violazioni simili si ripetano. Sembra quindi fallita l’iniziativa del “registro degli striscioni”, che effettivamente burocratizza qualcosa che dovrebbe spaziare nella fantasia, nell’ironia, nell’imprevedibilità. In fondo uno striscione, allo stadio come in piazza, ma anche un coro, uno slogan, sono forme di espressione del pensiero. Si chiama libertà di opinione ed è tutelata dalla nostra Carta Costituzionale. Ogni norma che cerca di limitare questo diritto viene vissuta come liberticida, ed in effetti lo è. Così come lo sono, quasi sempre, le disposizioni decise sotto la spinta di situazioni di emergenza. Le tifoserie organizzate fingono di non capire qual è il problema. Gridano alla violazione della propria libertà, ma non si interrogano mai sulla sistematica violazione delle libertà altrui nelle curve degli stadi. Qualche esempio? Posso sedermi al posto col numero corrispondente al biglietto che ho acquistato? Dipende, se il numero cade dove solitamente si sistemano gli ultrà me lo posso scordare. Posso seguire la partita a sedere? Impossibile, davanti ci sono quelli che cantano in piedi e quelli che sventolano i bandieroni. Posso chiedere che le scale siano lasciate libere per motivi di sicurezza? Sì, se voglio farmi ridere in faccia. Posso portare uno striscione in cui, per esempio, solidarizzo con le forse dell’ordine? Non farei neanche in tempo a srotolarlo. Si potrebbe continuare. Insomma, i diritti non possono essere a senso unico. Lo stadio non è un teatro, è vero, ma non può neanche essere un luogo dove vige la legge della jungla. O della curva che sia.
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Striscioni e dintorni, le diverse leggi in campo
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Torno al caso-striscioni e più in generale al tema violazioni. Io credo che la soluzione non possa che essere demandata alle società di calcio. Le stesse che, in alcuni casi, coltivano connivenze e danno copertura. Basta con le multe che non servono a niente. In caso di violazioni gravi la condanna deve essere ben più “convincente”: penalizzazione di punti in classifica. Sono certo che un provvedimento di questo tipo stanerebbe chi nelle società fa il doppio gioco e aiuterebbe anche i tifosi corretti ad uscire da una diffusa omertà. L’esempio arriva dai tifosi del Chievo che, nei giorni scorsi, riferiscono le cronache, hanno indicato alla polizia gli aggressori di alcuni supporter milanisti, permettendone l’identificazione. Nelle curve, mi par di sentirlo, questo comportamento verrebbe considerato delazione. Il comportamento di chi ha denunciato, che nell’ambito della lotta alla criminalità sarebbe sottolineato come coraggioso, nella logica della curva diventa vigliaccata. L’eroe trasformato in spia. Anche in questo caso lo stadio (e dintorni) si dimostra essere un mondo a parte.
Francesco Matteini
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