La Gazzetta dello Sport elenca i sette dubbi dei medici in vista della ripartenza degli allenamenti collettivi e del campionato.
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Responsabilità infinita, raduni e test continui: tutti i dubbi dei medici
Il protocollo non dà garanzie agli staff sanitari di A. Ecco i sette nodi da sciogliere
Responsabilità senza limitazioni
La responsabilità dei medici delle squadre di Serie A in caso di positività al coronavirus di un giocatore non ha scudi. Insomma, dalla ripresa degli allenamenti in avanti c’è il rischio di trovarsi davanti a una sorta di responsabilità "totale", per ogni cosa che accada all’interno della società. Troppo, ritengono i medici.
Garanzie
Come si può dimostrare dove è avvenuto un contagio? Questa è un’altra gatta da pelare: i medici non possono trasformarsi in poliziotti fuori dai centri sportivi ma devono rispettare tutte le indicazioni per la sicurezza
della squadra. Se sono rispettate le distanze e tutto viene fatto in sicurezza, se salta fuori un Covid come si può dimostrare che il contagio è una colpa della società?
Assicurazione e penale
Per la Federcalcio il club resta il primo responsabile, ma il presidente Gravina si è attivato comunque per potenziare le assicurazioni dei medici: alzare i massimali di rischio è fondamentale però non risolve
il problema. Se si resta nel campo civilistico e il medico riconosciuto colpevole deve risarcire, avere un massimale più alto rispetto al pre-covid può fare stare più tranquilli. Ma se si finisce nel penale, con una responsabilità immediata del medico e della società, l’assicurazione potenziata non può fare nulla.
Ritiro
Se si vuole creare un gruppo squadra «puro», che dia cioè le massime garanzie di tenere lontano il virus (anche se il rischio zero è impossibile), l’unica via sarebbe il raduno permanente. Ma questa strada non è più percorribile: dopo i due mesi di lockdown non è pensabile chiudere la squadra per altri due mesi. Il ritiro durerà 15 giorni (fin troppi per i giocatori), a partire dal 18 maggio.
Quarantena
Sulla quarantena obbligatoria di tutta la squadra per 14 giorni dopo la nuova positività di un giocatore non si transige, anche se un eventuale stop metterebbe a rischio la fine della stagione. Per l’Inail il Covid-19 è una malattia del lavoro e i calciatori corrono gli stessi rischi di operatori sanitari, forze dell’ordine e farmacisti.
Modello tedesco
Seguire il modello di alcuni stati federali tedeschi, con il solo giocatore positivo isolato, da noi è impossibile: è vero che la Bundesliga, che crede di poter contenere i nuovi contagi, così si dà più chance per la chiusura del campionato, però in Germania i giocatori non sono dipendenti dei club e non c’è responsabilità penale
di medici e società, se non in casi di evidente gravità.
Tamponi
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