Un anno fa, Cesare Prandelli era più o meno a metà del cammino che lo stava portando – ancora non lo sapeva - dal sogno alla disillusione (il crollo era ancora di là da venire): il 14 giugno 2014 la sua Italia aveva debuttato al Mondiale battendo l’Inghilterra, il 20 giugno la Costa Rica l’avrebbe fatta arrossire. Tempo quattro giorni e i fogli dove il c.t. aveva disegnato per quattro anni i suoi progetti sarebbero scoloriti, tutti insieme: dimissioni. Poco meno di sette mesi fa, era il 27 novembre, Cesare Prandelli stava raccogliendo altre macerie, quelle della sua storia sbagliata con il Galatasaray. L’aveva accettata all’inizio di luglio per voltare subito pagina e qualcuno l’aveva appena chiusa per lui, quasi togliendogli il peso di un incubo che si trascinava irreversibile: esonero. Oggi Cesare Prandelli è tornato a parlare dopo quasi un anno di silenzio “italiano” consapevole: della Nazionale, del Galatasaray, del suo futuro. Un’ora di chiacchierata, senza limiti. Ma partendo non da quello che è stato, ma da quello che potrà essere.
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NIENTE ANSIA — "Non ho più l’ansia di dover rincorrere qualcosa - assicura l'ex c.t. azzurro -. Però ho una motivazione forte - diciamo pure che professionalmente sto rosicando - perché mi piacerebbe tornare in campo e far crescere una squadra. La voglia c’è, tanta: mi piace andare a potare gli ulivi, ma anche fare il mio lavoro, e non vorrei che passasse l’immagine di Prandelli come Cincinnato. Ma è una voglia senza l’ansia che forse avevo avuto dopo aver lasciato la Nazionale, quando in 3-4 giorni avevo dovuto scegliere cosa fare".
JUVE, UN CASO A PARTE — Alla domanda sul tipo di esperienza che potrebbero convincerlo a ripartire, Prandelli risponde con una premessa: "Gli allenatori sono come i tifosi, devono sempre sognare di poter vincere qualcosa. Forse non credo più a dei progetti, perché progetto è ormai parola abusata, ma a delle sfide: voglio una sfida forte, anche impossibile. Se mi dite un progetto che ha funzionato in Italia negli ultimi vent’anni vi pago un caffè: funzionano se la base è come quella dell’Empoli, del Sassuolo, del Carpi, del Frosinone, del Chievo, realtà che danno il senso della possibilità di fare un lavoro. I grandi club inseguono il risultato e la Juve è un caso a parte, ha iniziato a programmare dalla serie B ed è uno dei pochi club dove i dirigenti fanno i dirigenti 24 ore all’anno. Le squadre funzionano se lo staff tecnico ha un confronto continuo con società: vincono le società presenti tutti i giorni con i loro dirigenti, che possono affrontare alla nascita i problemi, quando ci sono. I giocatori le sentono queste cose, e questo è il futuro".
LE RIVINCITE — Ma che tipo di proposta avrebbe accettato? L’Empoli, ad esempio? "Ha un progetto tecnico, è una bella sfida. E Giampaolo ha ricevuto meno di quello che avrebbe meritato - dice Prandelli -. In Italia è capitato anche a Pioli, esonerato dal Bologna sappiamo cosa ha fatto con la Lazio; ad Allegri, che oggi è un allenatore di livello mondiale; a Luis Enrique che a Roma ha preso un sacco di sberle eppure lo vedevo come lavorava, e negli spogliati c’erano anche molti computer… Questo è il nostro lavoro ed è anche la bellezza del nostro lavoro".
LE PROPOSTE — Apprezzamento per Paulo Sousa, un allenatore straniero che ha allenato in campionati stranieri, scelto dalla Fiorentina: "Mio giudizio personale: il Basilea l’anno scorso ha fatto un gran calcio. Poi bisogna vedere con quali criteri i dirigenti scelgono gli allenatori". E poi si torna a parlare delle proposte ricevute: "A livello europeo sì, e anche buone, ma ho dovuto prendere tempo per risolvere prima il contenzioso con il Galatasaray e non tutti possono aspettano. Ma su eventuali proposte straniere una riflessione in più la farò, anche se non scarto a priori l’ipotesi: non tutto quello che è fuori dall’Italia luccica". E proposte dall’Italia, invece? "Zero, ma la cosa non mi ha stupito. Non so quali siano i criteri guida dei nostri dirigenti e ci sia davvero volontà di disegnare un progetto tecnico: a volte vedo club che scelgono profili completamente diversi dal precedente".
LA JUVE E IL PASSATO — Tanti nomi importanti sono rimasti senza panchina. “Se non arrivano richieste ci inventeremo un altro ruolo. Ma in tanti sono stati esonerati: l’unico libero sono io… - scherza Prandelli -. Prendere un procuratore non fa parte del modo di pensare della mia generazione, ma ci sto pensando". Sulle voci passate di un interessamento della Juve per lui, l'ex c.t. spiega: "Mi cercarono Moggi, Giraudo e Bettega quando ero a Parma. Quando rinnovai con la Fiorentina mi chiamò Secco e la terza volta, con il permesso della Fiorentina, parlai con Bettega, che era tornati ai vertici della società. Ma non se ne fece nulla perché andai in Nazionale".
GALATASARAY, UN ERRORE — Fu un errore scegliere il Galatasaray così in fretta, subito dopo aver lasciato la Nazionale? "Mi dicono tutti di sì, ma in quei giorni Unal Aysal, il presidente del Galatasaray – club con 30 milioni di tifosi, non uno scherzo – mi apparve come un visionario e a volte i visionari ti fanno vedere il futuro. Io ci credo e gli credetti, anche perché avevo tantissima voglia di rimettere le scarpe da calcio e tornare subito in campo. Avrei accettato anche una squadra di serie B e comunque quello era un progetto totalmente innovativo, che nessuno mi aveva mai proposto: 'In un anno comprerò un club italiano, uno inglese, uno tedesco e ho il Galatasaray. Lei per un anno sarà il responsabile del Galatasaray e poi si occuperà del progetto di un’Academy europea: 1600 giovani e 150 collaboratori che potrà scegliere lei'". Il tutto si è rivelato solo il sogno di un visionario? "Eravamo a Vienna, ad agosto: arriva la signora Ebru Cokksal, un membro del board societario, e mi spiegò che quella propostami dal presidente era solo un’idea impossibile - racconta Prandelli -. Ma io mi sono fidato anche perché il presidente mi tranquillizzò: 'Darò le dimissioni, vedrai che non le accetteranno. Dopo due mesi le hanno accettate, e lui non l’ho più visto. I nuovi dirigenti mi dissero che non avrebbero cambiato nulla, però piano piano licenziarono tante persone, e poi anche noi: entro il 27 dicembre dovevano rientrare nei parametri Uefa. Il nuovo presidente poi si scusò, chiedendomi di trovare un accordo anche per proteggere l’immagine del Gala e venti giorni fa l’abbiamo trovato".
POLEMICHE SULLA NAZIONALE — Conte ha detto che l’attuale ranking è frutto anche dei risultati di chi lo ha preceduto. "Ognuno eredita quello che eredita: è successo anche a Lippi e Donadoni e poi pure a me, ma credo che per la mia gestione parlino i numeri - è la risposta -. Non mi interessa fare polemiche, sono energie che fatico a gestire". Costantino Coratti, uno dei preparatori di Conte, ha parlato di effetti coreografici: "Conte mi ha chiamato subito e si è scusato". E Bonucci, che ha parlato del “disagio di essere stati troppo davanti ai computer e troppo poco sul campo”? "Con il senno del poi… - ribatte -. Dopo aver battuto l’Inghilterra eravamo tutti fenomeni e avevamo indovinato tutto. Poi ne ho sentite di tutti i colori: troppo lavoro, spaccatura vecchi-giovani... Il tempo sarà galantuomo e credo che tutte le proposte che furono fatte in quella preparazione saranno utili anche per il futuro".
RIPENSANDO AL MONDIALE — E’ vero che in Italia si lavora troppo poco? "Nei miei quattro anni avevo riscontrato poca intensità rispetto a quella dei campionati europei. Però quest’anno le squadre italiane hanno fatto un bel percorso, dal punto di vista tecnico c’è stato un buon miglioramento. Dal punto di vista dell’intensità non so, non ho punti di riferimento. Ma restiamo sempre legati al risultato: una partita, dunque anche un solo tiro, ti sconvolge tutto. Io mi prendo sempre le mie responsabilità e tuttora penso che se contro la Costa Rica eravamo andati 15 volte in fuorigioco e non avevamo fatto neanche un gol, non sarebbe stato giusto prendersi scuse: chi ha delle responsabilità sportive deve fare questo. E dovremmo cominciare ad accettare il fatto che lo sport è crudele anche perché in un determinato momento ci sono squadre che si dimostrano più forti della tua". Se avessi saputo che anche Abete avrebbe dato le dimissioni, avrei cercato di convincerlo a non dimettersi. E forse, se io avessi aspettato uno o due giorni sarebbe stato meglio, visto quello che è successo dopo. In quel Mondiale ci sono mancati giocatori come Montolivo, Giaccherini, Diamanti, Maggio: ragazzi che trasmettevano cose importanti e amalgamavano gli altri".
ALLENATORE E SELEZIONATORE — Qualcosa di non detto di Balotelli e che può dire oggi? "Mario farà un grande Europeo". La decisione di continuare fino al Mondiale dopo il bell'Europeo 2012? "C’era una clausola “segreta” che avevamo concordato: tutti pensavano che gli anni di contratto fossero quattro, ma erano due più due, con la possibilità reciproca di non continuare. Io comunicai il mio disagio per la mancanza del lavoro sul campo quotidiano, ma i vertici federali il giorno prima, se non il giorno stesso, della finale dell’Europeo, mi convinsero a restare, con un coinvolgimento maggiore. L’idea era poter programmare un futuro diverso anzitutto per il settore giovanile. Ti vuoi convincere che esista differenza tra allenatore e selezionatore, ma alla fine resti sempre un allenatore. Il fatto è che una volta arrivavano in Nazionale dei leader, giocatori già pronti: adesso è la Nazionale che deve far crescere i giocatori e diventa complicato se devi fare il selezionatore. La svolta arriverà quando la Lega permetterà a Nazionale di avere più tempo. E per il bene della Nazionale si può trovare la strada".
STRANIERI — Troppi stranieri? “Basta guardare i numeri: parlano da soli - continua Prandelli -. Che fare? Inizierei a fare qualcosa per i settori giovanili, cominciando a mettere lì dei limiti". Ma si possono spiegare solo cosi due eliminazioni mondiali al primo turno? "Anche con un po’ di sfortuna nei sorteggi - è la replica -. Ma anche con la mancanza di coraggio avuta dalla Germania, che noi avevamo battuto all’Europeo: il coraggio di far restare tutti allo stesso posto anche quando le cose non sono andate bene. E due anni dopo hanno vinto il Mondiale. Conte? Tutti cercano di vincere: alla fine sei ricordato per quello. Qual è l’aspettativa dei tifosi? Se è vincere non si accontentano di giocare bene. Forse la mia squadra aveva cercato di affrontare le partite internazionali in maniera diversa: esagerato dire che siamo stati un esempio, però c’era una ricerca diversa rispetto al passato. Quella di Conte è l’impronta delle sue squadre, dunque da questo punto di vista è una garanzia. Avevo intravisto la qualità di certi giocatori: Conte si ritrova gente come El Shaarawy e Insigne cresciuta. E se abbiamo lanciato alcuni di questi, vuol dire che avevamo visto bene. Guardando le partite della Nazionale, in diretta faccio un po’ fatica: me le guardo in differita. E’ una ferita che resta aperta, è una fine che non ho ancora elaborato del tutto, come quando finisce una storia d’amore. Le emozioni di quattro anni così intensi non passano via così e sono ancora forti: la Nazionale è qualcosa che va al di là di tutto, chi non capisce questo non ama fino in fondo la sua nazione. Quando sono arrivato sulla panchina azzurra non immaginavo fosse così: è una cosa che unisce tutti e deve essere di tutti. Per quello in quattro anni abbiamo fatto di tutto e ho accettato sempre di essere presente a determinati eventi: è privilegio e onore, io l’ho pensata così, anche perché ho avuto vertici che la pensavano così. Se sei in un club puoi pensare che non ci sia altro al di fuori del lavoro: se alleni la Nazionale non puoi. E fai, come me, migliaia di chilometri per esserci. Anche senza troppa pubblicità. Perché per tutti, soprattutto per i bambini, la Nazionale è una gioia. Oggi sono cambiati i vertici generali, serve tempo: credo che la strada di riavvicinare la Nazionale alla gente sia l’unica e verrà percorsa ancora. Sono sicuro". Un giocatore simbolo della sua Nazionale? “Non si può fare solo un nome: ce ne sono tanti con cento e anche più presenze – penso a Buffon, Pirlo, De Rossi, Barzagli - che hanno dimostrato attaccamento, dedizione, personalità. Ma non posso dire uno che mi abbia aiutato più di altri".
SCUDETTO 2015-16 — Ultima battuta sul prossimo scudetto? "La Juve è favorita, ma la Roma ha tutto per competere, cme il Napoli se non sconvolge il progetto tecnico di Benitez. La Lazio ha margini enormi di miglioramento, il Milan se piazza altri grandi colpi di mercato può riproporsi e Mancini sa come si vince".
(Gazzetta.it)
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