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Parla la Carogna: “Ecco la mia verità su sabato”

Il sito napoletano like24.it ha pubblicato una lunga intervista al personaggio – ahinoi – del momento, cioè il capo ultras del Napoli.   «State sbagliando: non è di me che …

Redazione VN

Il sito napoletano like24.it ha pubblicato una lunga intervista al personaggio - ahinoi - del momento, cioè il capo ultras del Napoli.

«State sbagliando: non è di me che dovete preoccuparvi, ma del ragazzo che è stato ferito»: Genny la Carogna, o meglio Gennaro De Tommaso, parla pacato. Non si difende. Attacca. Trovarlo non è difficile: tra Forcella e piazza San Gaetano, dove è nato, lo conoscono tutti. E i messaggi corrono veloci: basta chiedere di lui, qualcuno accetta di chiamarlo e l’appuntamento è fatto. Jeans e giubbino, mani in tasca e viso affranto, la Carogna offre un immagine che non ti aspetti. A cominciare dal nome: non è suo, raccontano nei vicoli, lo ha ereditato dal padre, e non indica cattiveria, ma sfortuna. E di quel nome lui non fa mistero e non si vergogna, anzi sorride dell’imbarazzo di chi lo pronuncia. E non è vero nemmeno che a suo carico sabato ci fosse un Daspo, una diffida con obbligo di firma: il provvedimento, spiegano quelli della curva A, è scaduto da tempo.

Come è andata veramente sabato a Roma?

«Quelle che sono state scritte sono tutte sciocchezze. Hamsik è venuto da noi solo per rassicurarci sulle condizioni del nostro amico, per dirci che stava meglio, che poteva farcela. Lo stesso messaggio che ci hanno dato le forze dell’ordine. Noi abbiamo parlato con tutti con calma e rispetto, senza minacce o provocazioni. Non c’è stata alcuna trattativa tra la Digos e la curva partenopea sull’opportunità di giocare o meno la partita. Il resto sono invenzioni dei giornalisti».

Quindi nessuna trattativa?

«Ovviamente no. Quello che è successo sabato è inaudito, non era mai accaduto che qualcuno sparasse ai tifosi. Di tutto questo sembra non importare niente a nessuno. Ma a noi sì, a noi interessa. Ed è per questo che abbiamo deciso di rinunciare alla coreografia che avevamo organizzato e che ci era costata quindicimila euro. E la stessa cosa hanno fatto anche i supporter della Fiorentina. Come avremmo potuto srotolare gli striscioni, e cantare, e ballare quando uno di noi era in fin di vita? Ci siamo rifiutati di farlo. Ma non abbiamo minacciato nessuno e non abbiamo detto di non giocare. Né avremmo avuto il potere per farlo. Noi non possiamo decidere nulla».

Siete rimasti sugli spalti?

«No. Nessuno poteva costringerci a restare allo stadio e infatti subito dopo il primo gol molti di noi sono andati via. Più che del Napoli ci interessava di quel ragazzo in fin di vita. Perciò siamo rimasti tutta la notte in ospedale con la famiglia e con le forze dell’ordine».

Come è stato ferito il tifoso napoletano. Cosa è successo prima dell’ingresso allo stadio?

«Ci stavamo dirigendo verso la curva Nord dell’Olimpico scortati dalle forze dell’ordine. Poi è successo l’inferno, abbiano sentito i colpi e ci siamo accorti che tre di noi erano rimasti a terra. Una cosa del genere non si era mai vista, pure quando uccisero quel tifoso all’Olimpico, Paparelli: allora non spararono un colpo di pistola, ma un razzo che purtroppo gli finì in un occhio. Perciò i fatti di Roma sono gravissimi».

E quella maglietta che inneggia all’assassino di Raciti, non è un gesto di sfida?

«No, anzi. L’unica cosa importante di questa storia ormai è diventata la maglietta che io e gli altri tifosi indossiamo. ”Speziale libero” c’è scritto. Ma attenti: la maglietta è in onore di una città dove abbiamo tanti amici e nei confronti di un ragazzo che sta chiedendo attraverso i suoi legali la revisione del processo. È una richiesta di giustizia, non un’offesa contro una persona deceduta o contro i suoi familiari».

Ma le tifoserie non ricattano, non minacciano, non tengono in pugno le società?

«Tutte favole».