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Dragowski, Hagi e una vecchia regola del calcio: lezione recepita (speriamo)

Storie diverse ma con un denominatore comune...

Alessio Crociani

Alzi la mano chi si aspettava un Bartłomiej Dragowski ai livelli di ieri sera. E non è finita qua, perché gli 8 in pagella per la prestazione capolavoro contro l'Atalanta sono solo la punta dell'iceberg del suo percorso di crescita portato avanti dal suo arrivo in azzurro. Qualcosa, evidentemente, deve essere cambiato rispetto ai disastri della scorsa stagione contro Lazio e Milan... Ci sono voluti due anni e mezzo di panchine per capire che un calciatore giovane, tanto più se portiere, ha bisogno di giocare. Non solo per maturare, ma anche per rendere nell'immediato e capirne il reale potenziale. E' questa l'unica discriminante alla base della svolta di Dragowski, che ha certamente ancora molto da imparare ma che finalmente trasmette la sensazione di potersi affermare a buoni livelli.

La stessa lezione, ad esempio, si ricava osservando da lontano lo sviluppo di Ianis Hagi, un altro che a Firenze è rimasto troppo tempo tra le riserve. E' bastata un po' di continuità in campo per accendere su di lui le attenzioni di Galatasaray, Girone e pure della Roma. Anche lui, come Dragowski, deve ancora dimostrare tutto lontano dalla madrepatria, ma la crescita del ragazzo rispetto ad un anno fa è innegabile. Storie diverse (non fosse altro perché il polacco a differenza di Hagi è ancora di proprietà della Fiorentina) con protagonisti due ragazzi - ci teniamo a sottolinearlo di nuovo - che non sono già dei fenomeni per qualche prestazione sopra le righe. Il denominatore comune è una vecchia regola del calcio: i giovani vanno fatti giocare. Che sia in casa o altrove, in prestito.

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